Revenge Porn: tutti lo conoscono, pochi denunciano. Women for Security indaga
Il 90% degli italiani sa che cos’è il revenge porn, e quasi tutti sono consapevoli che si tratta di un reato. Però, se capitasse di esserne vittima, solo il 75% lo denuncerebbe.Sono alcuni dei dati emersi dalla ricerca sul tema svolta da Women for Security, community di professioniste che lavorano per la cybersicurezza.
Alla presentazione dell’indagine, condotta su un panel prevalentemente femminile, equamente diviso per età (il 34% aveva fra i 40 e i 50 anni; il 32% era di 25-40enni) è intervenuto – unico uomo: il fenomeno, d’altra parte, colpisce nella stragrande maggioranza le donne – anche il cybersecurity manager Ettore Guarnaccia. Che ha fornito i suoi di numeri, non meno inquietanti: entro i 15 anni il 95% dei ragazzini entra in contatto in Rete con contenuti pornografici, più o meno consapevolmente. E 1 su 4 dei minorenni fa sexting, ossia scambia messaggi o immagini a contenuto esplicitamente sessuale. Da qui al cyberbullismo, alla sexortion a base di minacce, fino alla vendetta del revenge porn il passo non è così lungo. Tanto che il 15% dei minori è stato vittima della condivisione di immagini esplicite.
Altre percentuali (ma dietro i numeri non bisogna mai dimenticare che ci sono persone e drammi sfociati in più casi nel suicidio) sono state illustrate da Sofia Scozzari dell’associazione italiana per la sicurezza informatica Clusit e nel board di Women for Security: il 14% di chi ha risposto all’indagine ha conosciuto almeno una vittima di revenge porn, il 2% ammette di averlo subito personalmente.
Alla fine però, alla denuncia si arriva nel 50% dei casi. Eppure, resta questo il mezzo più efficace per difendersi, pur nella consapevolezza che ciò che è pubblicato in Rete difficilmente si riuscirà a farlo scomparire definitivamente.
In questo senso, prezioso l’intervento dell’avvocata Anna Italiano, che ricorda come “diffondere immagini a carattere sessuale esplicito senza il consenso” sia un reato penalmente perseguibile, anche se quelle foto o quei videio in un primo momento sono stati realizzati liberamente, ma solo per uso privato. Altrettanto punibile è chi riceve questi contenuti e li ridiffonde a terzi.
Bisogna denunciare, dice Italiano, anche se – come i casi di cronaca recenti insegnano, primo fra tutti quello della maestra licenziata perché l’ex aveva messo in Rete un loro video intimo – tuttora il rischio è di “essere condannate moralmente”.
Cinzia Ercolano, fondatrice di Women For Security, conclude con una esortazione, indicazione pratica: “I dati ci indicano chiaramente che la strada da intraprendere per cercare di arginare il fenomeno del revenge porn è l’attivazione di campagne di sensibilizzazione all’utilizzo del digitale. L’età sempre più bassa delle vittime impone di prestare particolare attenzione alla fascia di popolazione in età scolare, a partire dalla quale è necessario iniziare a fare prevenzione”.