L’importanza di un’autodifesa digitale
di Anna Vaccarelli, Membro del Comitato Direttivo Women for Security e del Comitato Direttivo Clusit
Women for Security è nata per far incontrare le donne che lavorano nel settore della Cybersecurity, favorire lo scambio di esperienze e offrirsi reciprocamente supporto quando è necessario. Dal confronto tra noi e con la realtà sociale nella quale viviamo abbiamo capito di dover allargare il pubblico al quale parlare e di doverci rivolgere ai più giovani, soprattutto alle ragazze, ma non solo.
Nell’ultimo anno abbiamo cominciato a proporre percorsi di formazione e awareness nelle scuole e a svolgere corsi di cybersecurity e “autodifesa” digitale a professioniste, in vari settori lavorativi diversi da quelli tecnici. E abbiamo capito molte cose: la consapevolezza nell’uso del digitale è ancora molto bassa e le tematiche della Cybersecurity sono pressoché sconosciute. Scopriamo che esiste ancora l’abitudine a password condivise, a password troppo semplici e sempre uguali, che l’aggiornamento dei sistemi e delle app è molto poco praticato: mancano davvero le basi.
Man mano che parliamo con i ragazzi a scuola e con le giovani professioniste li portiamo a riflettere sui rischi che corrono con comportamenti poco accorti e superficiali e le loro espressioni passano ad essere serie o preoccupate. Avere molti follower può essere gratificante per i più giovani, ma tra i molti follower sconosciuti possono esserci dei malintenzionati. Scopriamo con loro che la raccomandazione “non dare confidenza agli sconosciuti” ha ancora senso, ma va interpretata in chiave digitale: chi è lo sconosciuto che può farci del male in rete e come? Chi è il “maniaco” del mondo digitale? Come fare a riconoscerlo? Come fare a difendersi? Che può succedere se usano la mia password condivisa o indovinata perché troppo semplice? Se qualcuno usa il mio account a mia insaputa? Man mano che spieghiamo a cosa stare attenti per non cadere in queste trappole le espressioni si rasserenano e arrivano i commenti e le riflessioni sulle proprie esperienze.
La consapevolezza di poter riconoscere i rischi e saperli evitare consente a tutte (e a tutti) di muoversi in rete con disinvoltura, potendone cogliere le opportunità. Altrettanta attenzione riceviamo quando parliamo dei rischi che corriamo nella sfera “privata”: quello che scriviamo o le immagini e le foto che mandiamo in una chat privata con un’amica o con il fidanzato sembrano al sicuro, ma non è detto che lo siano davvero e per sempre. L’amica smette di essere amica o il fidanzato diventa un ex fidanzato e quelle schegge della nostra vita privata e intima possono non essere più al sicuro, possono diventare di dominio pubblico o armi di ricatto, come nel caso del revenge porn.
In questo caso le contromisure non sono tecniche, non si tratta di trovare una password più robusta, quello che conta sono i nostri comportamenti e il nostro buon senso, lo stesso che usiamo nella vita “reale” ma con la consapevolezza che se un tempo per diffondere le nostre foto bisognava stamparle, metterle in una busta e inviarle o registrare i nostri discorsi su una cassetta, farne delle copie, impacchettarla e inviarla per posta, oggi rendere pubbliche le nostre foto digitali o i nostri vocali è facilissimo e l’unica forma di prevenzione è non “produrli”.
La nostra vita digitale, ai fini delle relazioni sociali, è importante quanto quella reale, anzi ormai indissolubile da questa e dobbiamo curarla come facciamo con quella “fisica”.